Ripensare il packaging in tempo di crisi: implicazioni etiche e approccio sistemico nella progettazione degli imballaggi

Trascrizione dell’intervento al Convegno “Packaging Innovation. A Step Forward Towards a Sector Observatory”, organizzato da ADU-Advanced Design Unit dell'Università di Bologna il 5 novembre 2020, nel contesto dell’evento ECOMONDO 2020

Erik Ciravegna
8 min readApr 1, 2021

Buongiorno a tutti, sono Erik Ciravegna, professore della Scuola di Design della Pontificia Universidad Católica de Chile. Rivolgo un saluto a tutti i presenti, virtualmente e non, e un ringraziamento agli organizzatori di questo convegno, in particolare a Flaviano Celaschi e a Clara Giardina, per il loro gentile invito a essere parte di questo evento. Un evento rilevante, giacché segna una nuova tappa nello sviluppo del progetto dell’Osservatorio sulla Innovazione del Packaging, a cui ho avuto il piacere di collaborare sin dalla sua nascita, l’anno scorso.

Quando sono stato contattato dai colleghi dell’Università di Bologna per essere coinvolto come relatore di questo convegno, al propormi di introdurre il cluster tematico del settore agricolo, confesso che al principio ho avuto qualche perplessità, perché non è esattamente l’ambito di ricerca e di progettazione in cui mi muovo abitualmente. Tuttavia, dopo aver riflettuto sul tipo di intervento che avrei potuto proporre, sui casi che avrei potuto presentare o sui temi che avrei potuto toccare, mi sono ricordato di un testo che avevo letto qualche tempo fa sull’origine agricola di un concetto che sta marcando senza dubbio i tempi che stiamo vivendo: il concetto di crisi.

E all’associare questo concetto –la crisi– con il packaging, ho pensato potesse essere interessante sviluppare una riflessione intorno alla progettazione degli imballaggi proprio in questo tempo di crisi, ricollegandomi ad alcuni ragionamenti che avevo condiviso a dicembre dell’anno scorso, proprio durante la conferenza inaugurale del progetto dell’osservatorio. Una riflessione sulle implicazioni etiche e sull’approccio sistemico che è necessario adottare per ripensare il packaging e affrontare così le sfide che le crisi contemporanee ci impongono.

Crisi ambientali, sociali ed economiche, che nelle loro molteplici manifestazioni mettono a dura prova i paradigmi attuali e ci costringono a riflettere sugli attuali modelli di produzione e di consumo e, più in generale, sui nostri stili di vita. Gli effetti devastanti del cambiamento climatico, le proteste sociali scatenate negli ultimi anni e la più recente emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19 hanno generato una profonda instabilità a livello globale e hanno aggravato le disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo, tra paesi ricchi e paesi poveri, ma anche all’interno degli stessi paesi si è ampliata la forbice economica aumentando la disparità tra abbienti e disagiati.

In origine, la parola crisi deriva dal greco krísis, che significa giudizio, decisione, e dal verbo krínein, il cui significato separare, giudicare, decidere. Detto in altre parole, giudicare per prendere una decisione. Come vi avevo anticipato, la parola crisi ha un’origine agricola, legata alla raccolta del grano: per un greco antico, la crisi è il processo che avviene quando il grano viene separato dalla pula. Si tratta di una separazione analitica per mantenere solo la parte buona o utilizzabile del raccolto. Il che implica una capacità di giudizio.

La crisi indica il momento in cui si verifica una interruzione, un cambiamento marcato in qualcosa o in una certa situazione: si parla di crisi in una malattia, e più in generale in natura, così come nella vita di una persona o di una comunità. Essere in crisi significa trovarsi in una situazione conflittuale, uno squilibrio che implica una scelta. Secondo Steven James Venette “la crisi è un processo di trasformazione in cui il vecchio sistema non può essere mantenuto”.

La crisi, quindi, pur costituendo una situazione di grave difficoltà e di malattia diffusa, non ha necessariamente un significato negativo: la crisi è un’opportunità per generare un cambiamento, una trasformazione, perché è il momento in cui bisogna prendere una decisione, scegliere una strada nuova e rinunciare a la vecchia. Questa decisione deve essere presa in modo prudente, per tenere conto delle conseguenze di ogni alternativa. Per questo è necessario scegliere criticamente (da kritikós, capace di discernimento) e con criterio, un’altra parola greca che appare in questo contesto (da criterion, con il significato di corte di giustizia).

Tornando ora al packaging, che è il tema che ci convoca oggi per questo convegno, le crisi contemporanee come si è detto mettono in discussione i paradigmi attuali, enfatizzando in particolare il problema della gestione dei rifiuti e i presunti costi — economici, sociali e ambientali — associati agli imballaggi, in particolare alla plastica. Un importante segmento dell’opinione pubblica considera il packaging come una delle principali cause dell’inquinamento globale, l’impronta visibile dell’attività umana nei nostri ambienti, un simbolo dell’effimero e del superfluo, l’espressione tangibile degli eccessi della società del consumo.

Tuttavia, la polemica causata dal packaging, richiede una profonda riflessione, senza cadere in facili slogan e messaggi demagogici, come di solito accade con certe campagne #plastic free o #nopackaging, o la cosiddetta Plastic Tax. È necessario, da una parte, adottare una prospettiva critica, cioè separare analiticamente ciò che è buono da ciò che è cattivo e, per riprendere la metafora agraria, mantenere la parte buona o utilizzabile del raccolto. Dall’altra parte, è necessario adottare un approccio sistemico, che consideri e bilanci funzioni, responsabilità ed impatti del packaging nel contesto contemporaneo.

L’imballaggio come sappiamo è una protesi, un’estensione artificiale del prodotto, che serve a proteggerlo, conservarlo e mantenerlo in buone condizioni, durante la fase di trasporto, movimentazione, stoccaggio, distribuzione e vendita. Durante la fase di consumo, il packaging assicura che una persona possa accedere e interagire facilmente con il suo contenuto; inoltre, favorisce la trasmissione di informazioni, avvertenze e istruzioni per l’uso.

Se pensiamo poi in situazioni di calamità naturali come terremoti o tsunami — e il Cile, paese dove vivo attualmente, è un esempio di questi fenomeni naturali — l’imballaggio è uno strumento essenziale che garantisce l’accesso a risorse essenziali come acqua, cibo e medicinali. Nel caso poi di un’emergenza sanitaria, come quella che stiamo affrontando per il Covid-19, il packaging ha contribuito a prevenire la diffusione della malattia, proprio perché certi materiali, come le plastiche, oltre a costituire una barriera tra il virus e il prodotto, sono lavabili e disinfettabili.

L’imballaggio, come oggetto d’uso e mezzo di comunicazione, è quindi un oggetto necessario per le funzioni fondamentali che svolge in relazione alla protezione e alla conservazione dei prodotti, alla comunicazione della loro identità, alla trasmissione di informazioni, ecc. Tuttavia, per la sua natura transitoria e la sua breve durata, la sua presenza diffusa nella vita quotidiana delle persone, con un impatto significativo sulla società e sull’ambiente, non cessa di generare polemiche e controversie.

Va riconosciuto senza dubbio che l’imballaggio è un problema, ma non certamente il problema. In primo luogo, il settore dell’imballaggio non è il più inquinante. In confronto, l’industria della moda ha, ad esempio, un impatto maggiore sulla salute e sull’ambiente (rifiuti chimici, microplastiche, ecc.), oltre che a livello sociale (per lo sfruttamento della manodopera nei paesi in via di sviluppo, per citare uno dei fenomeni oggi più problematici). Eppure, gli effetti degli imballaggi sull’ambiente sono quelli maggiormente criticati, perché sono i più visibili. Ciò che galleggia sulla superficie degli oceani si offre più facilmente alla vista dell’opinione pubblica… e della stampa.

In secondo luogo, i dati sulla riduzione dell’inquinamento nelle aree in lockdown, insieme al crescente numero di mascherine e guanti monouso gettati per strada dopo la riapertura post-quarantena, confermano ancora una volta che il problema dei rifiuti –così del cambiamento climatico o delle ingiustizie sociali– non è responsabilità di oggetti inanimati come gli imballaggi, che peraltro in molti casi svolgono egregiamente le funzioni per cui sono concepiti e prodotti. Le crisi, in particolare quelle che stiamo vivendo attualmente, sono una responsabilità umana: la sopravvivenza del pianeta dipende dalle scelte che facciamo come individui e come collettività, e se siamo disposti a cambiare comportamenti e abitudini di vita.

In questo senso, vorrei richiamare e riportare al centro della riflessione la nozione di responsabilità etica o, più precisamente, di etica della responsabilità, una espressione introdotta dal politologo Max Weber a inizio del ‘900, e poi adottata da Hans Jonas negli anni ’70 come base per definire il cosiddetto sviluppo sostenibile.

La parola etica deriva etimologicamente… lo so, ho una specie di ossessione per l’etimologia delle parole, però le parole sono importanti perché definiscono la nostra realtà… etica deriva, dicevo, dal termine greco ethos, che significa comportamento. La parola responsabilità deriva dal latino respondeo e ha la stessa origine del verbo rispondere: la responsabilità si riferisce alla capacità di rispondere delle proprie azioni. L’etica della responsabilità si può quindi definire come un comportamento in grado di rispondere a qualcuno o a qualcosa. In altre parole, agire con responsabilità etica implica considerare gli effetti e le conseguenze del nostro comportamento, ed è proprio prevedendo tali effetti e conseguenze che si prendono le decisioni corrispondenti.

Se questo concetto viene applicato al settore degli imballaggi, per far fronte alle crisi attuali è necessario adottare quindi criteri etici lungo tutto il ciclo di vita di un prodotto. Tener conto, da un lato, degli impatti specifici in ogni fase del processo e, dall’altro, della corresponsabilità di tutti gli attori coinvolti nel cosiddetto sistema-packaging: produttori e trasformatori di imballaggi, aziende utilizzatrici, istituzioni, associazioni e consorzi, ecc., e anche gli utenti finali che svolgono un ruolo decisivo nelle fasi di acquisto, consumo e post-consumo.

Il packaging deve essere inteso come il risultato di un insieme integrato di scelte fatte dalla pluralità di attori, ognuno dei quali svolge un ruolo specifico -diretto o indiretto- nella sua definizione. Inoltre, per la sua complessità, la progettazione di un imballaggio richiede l’intervento di competenze diverse e la partecipazione di più discipline e, quindi, implica l’adozione di un approccio sistemico. In questo contesto, il design svolge un ruolo rilevante di mediazione tra le parti e di sintesi progettuale, dando forma a soluzioni che siano convergenza di punti di vista, necessità e scelte espresse dai vari soggetti coinvolti nello sviluppo di un prodotto, considerando le molteplici funzioni del packaging e collegando la dimensione comunicativa a quella più strettamente prestazionale e operativa.

L’adozione di un approccio etico e sistemico, oltre a consentire una lettura più consapevole ed equilibrata degli impatti — positivi e negativi — degli imballaggi sulla società e sull’ambiente, può generare nuovi percorsi di innovazione nel settore, andando oltre il concetto di “esperienza del consumatore” propria del marketing, o del concetto di “innovazione tecnologica” applicata alla protezione del prodotto.

Progettare o riprogettare il packaging in tempi di crisi, e in vista di un futuro più sostenibile, significa mettere in discussione modelli consolidati e proporre soluzioni che aiutino a risolvere problemi concreti e reali, che abbiano un impatto positivo sulle persone e sul pianeta, secondo una prospettiva di innovazione orientata al benessere e alla qualità della vita.

E quale miglior settore da cui partire se non il settore agricolo, che al riconnetterci con la terra, con la natura e il pianeta, può trasformarsi in un promotore del benessere e della qualità della vita?

Grazie per la vostra attenzione e buona prosecuzione dei lavori.

Muchos saludos desde Santiago de Chile y ¡hasta pronto!

Erik Ciravegna

Santiago del Cile, 5 novembre 2020

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Erik Ciravegna

PhD in design. University professor and consultant. Interested in any artistic expression and creativity. Motivated by the well-being of people and the planet.